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Pensione: il Part Time quanto incide sull’assegno finale?

lentepubblica.it • 16 Settembre 2016

part time 63 anniUn anno di lavoro part-time vale quanto un anno di lavoro a tempo pieno ai fini del conseguimento del diritto alle prestazioni previdenziali. A differenza di quanto si pensa il lavoro part-time, infatti, non allontana la pensione ma influisce esclusivamente sulla misura della stessa dato che la retribuzione percepita dal lavoratore sarà inferiore e ciò si riverbererà inevitabilmente sulla rendita pensionistica.

 

In sostanza per quanto riguarda il raggiungimento del diritto alla pensione le settimane, i mesi e gli anni di lavoro svolti in part-time (orizzontale o verticale) sono trattati allo stesso modo delle settimane svolte a tempo pieno: un anno di part-time viene conteggiato come un anno di lavoro svolto a tempo pieno. Ovviamente a condizione che sia stato rispettato il minimale inps per il lavoro dipendente (di poco superiore a 10mila euro nel 2016). Ad esempio se un soggetto lavora 35 anni a tempo pieno ed altri 8 anni con lavoro part-time l’anzianità contributiva che potrebbe vantare al termine della carriera lavorativa sarebbe sempre pari a 43 anni. E potrebbe essere utilizzata, ad esempio, per accedere alla pensione anticipata.

 

Ciò che cambia è la misura della pensione. Bisogna partire da un dato abbastanza intuitivo: la prestazione sarà inferiore a quella che sarebbe stata maturata con il tempo pieno. E’ infatti inevitabile che, diminuendo la retribuzione percepita durante l’anno, diminuirà anche il valore dell’assegno. Quindi tanto maggiore è il periodo di part-time tanto superiore sarà la riduzione dell’importo della pensione futura.

 

Per chi sceglie il part-time dopo il 2011, magari decidendo di concludere ad orario ridotto gli ultimi anni di carriera lavorativa, gli effetti negativi legati ad un calo della retribuzione esplicheranno i propri effetti esclusivamente sulle quote dell’assegno determinate con il sistema contributivo. Per tutti i lavoratori. Uno degli effetti della Riforma del 2011 è stato, infatti, quello di estendere il sistema contributivo anche con riferimento a coloro che potevano vantare almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995. Ebbene dato che nel sistema contributivo, l’accantonamento dei contributi dipende esclusivamente dalla retribuzione del lavoratore un abbassamento della retribuzione dovuta al part-time si tradurrà in un valore inferiore di contributi sui quali poi sarà calcolato il montante complessivo della pensione. La pensione contributiva si ottiene, infatti, moltiplicando il montante contributivo individuale (per il part time il 33% della retribuzione, che è notevolmente inferiore a quella di un lavoratore a tempo pieno) per il coefficiente di trasformazione.

 

A differenza di quanto si crede, invece, l’eventuale parte dell’assegno determinata con il sistema retributivo non viene svalutata. Anche se si termina la carriera lavorativa ad orario ridotto. Perchè l’ordinamento riconosce al lavoratore una retribuzione pensionabile sostanzialmente pari a quella che avrebbe ricevuto se fosse rimasto con un rapporto a tempo pieno ampliando il lasso temporale entro cui ricercare le retribuzioni pensionabili per il calcolo della quota A (ultimi cinque anni per anzianità maturata entro il 1992) e della quota B (ultimi 10 anni per anzianità maturata dal 1993 sino al 1995 o sino 2011 a seconda dei casi) di un periodo pari esattamente al numero di settimane mancanti all’anno pieno ai fini della misura della pensione. Questo meccanismo impedisce, in definitiva, che gli ultimi anni di lavoro svolto a part-time svalutino le quote retributive dell’assegno; si tratta di una clausola di salvaguardia particolarmente importante. In alcuni casi addirittura è possibile che il pensionato ci guadagni qualcosa in quanto ampliandosi il periodo di riferimento per la ricerca delle ultime 260 e 520 settimane si andranno a rivalutare a ritmi maggiori le retribuzioni più remote nel tempo.

 

Un meccanismo simile coinvolge anche il pubblico impiego: per la determinazione della quota A e della quota B di pensione si continuerà, infatti, ad utilizzare il valore della retribuzione virtuale prevista per un rapporto di lavoro a tempo pieno. Ciò basta ad evitare un effetto negativo sulle quote di pensione con il sistema retributivo. Ovviamente l’anzianità maturata dal 2012, soggetta al calcolo contributivo, sarà commisurata all’ammontare dei versamenti effettuati fino al momento delle pensione e, pertanto, in caso di part-time sarà minore rispetto a quella di un lavoratore a tempo pieno.

 

Per ovviare alla perdita della contribuzione occorre ricordare che i periodi di lavoro part-time possono essere riscattati, ai fini della misura del trattamento pensionistico, a condizione che risultino non lavorati e che siano collocati entro il periodo temporale del rapporto di lavoro. O in alternativa si può chiedere la prosecuzione volontaria della contribuzione ad integrazione della retribuzione persa. Generalmente i contributi versati dal lavoratore contribuiranno esclusivamente alla determinazione dell’importo del trattamento pensionistico salvo ove non sia stato rispettato, con il lavoro a tempo parziale, il minimale per l’accredito di un anno di contributi (nel qual caso è possibile anche coprire ai fini del diritto alla pensione le settimane mancanti all’anno pieno).

 

Agli effetti del part-time sulla pensione devono porre attenzione soprattutto i giovani entrati nel mondo del lavoro dopo il 1995. Chi è nel sistema contributivo puro deve, infatti, considerare che questo sistema richiede per l’accesso alla pensione di vecchiaia che il primo rateo della pensione superi un determinato importo soglia, pari a 1,5 volte il valore dell’assegno sociale, cioè circa650 euro al mese. Lavorare per metà della carriera lavorativa con contratti di lavoro part-time potrebbe, pertanto, non far raggiungere il predetto importo e costringere il lavoratore a posticipare l’accesso finchè tale condizione non risulti raggiunta. E’ noto infatti che il sistema contributivo prevede una pensione più elevata quanto più si dilata l’uscita (tramite l’attivazione di coefficienti di trasformazione più elevati). Solo al perfezionamento di 70 anni di età (requisito però da adeguare alla stima di vita) diviene possibile uscire a prescindere dall’importo soglia.

 

Appare utile, in conclusione, ricordare che recentemente è stato introdotto per i soli lavoratori dipendenti del settore privato a tempo indeterminato il part-time agevolato. In tal caso non si produce l’effetto negativo sulla pensione sopra descritto dato che sarà lo Stato a pagare il differenziale contributivo tra il tempo pieno ed il part-time.

 

Fonte: Pensioni Oggi (www.pensionioggi.it) - articolo di Franco Rossini
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